“Enorme isole di plastica tra Corsica ed Elba”. “Il mare e i fiumi sono una zuppa di plastica”. “Una balena piena di plastica”. “Di cosa è ricco il pesce: di microplastica”.
Questi solo alcuni dei titoli dei giornali che, in questi ultimi mesi, hanno evidenziato il problema degli scarti di plastica che ognuno di noi produce ogni giorno. A queste evidenze macroscopiche si aggiunge un altro tema che ha destato l’attenzione non solamente dei media e delle Autorità nazionali e sovranazionali, ma anche del mondo medico e scientifico: le microplastiche.
Il termine microplastiche è stato coniato nel 2004 per indicare la “plastica molto piccola”, i particolati e le fibre plastiche. Il National Oceanic and Atmospheric Administration (NOAA) ha poi definito come microplastiche tutte le particelle di plastica aventi diametro <5 mm. Più piccole ancora, le nanoplastiche (particelle con dimensioni inferiori a 0.1 μm) possono essere ingerite facilmente ed entrare così nella catena alimentare.
Le microplastiche sono state rinvenute in ogni area del pianeta e si accumulano soprattutto negli ecosistemi marini a livelli sempre più elevati. Numerosi studi confermano che in modo particolare molti organismi marini di interesse commerciale per l’alimentazione umana e animale ingeriscono micro e nanoplastiche che si accumulano nei tessuti: residui sono stati trovati nelle carni di merluzzo bianco, sugarello atlantico, sardina europea, triglie rosse e spigola europea, molluschi bivalvi e crostacei.
Oltre a un impatto negativo sugli stessi organismi marini, le microplastiche si traferiscono nella catena alimentare fino ad arrivare sulle nostre tavole. Studi sull’uomo hanno evidenziato il loro passaggio, attraverso l’intestino, al sistema linfatico. I possibili effetti sulla salute umana non sono però ancora del tutto chiari, anche se è dimostrato che le micro e le nanoplastiche sono un veicolo par alcuni inquinanti pericolosi e cancerogeni come ad esempio metalli, policlorobifenili (PCB) e idrocarburi policiclici aromatici (IPA).
Il rischio è quindi alto e merita di uno studio più approfondito sia da un punto di vista epidemiologico sia nella valutazione degli effetti che queste tipologie di plastiche, una volta all’interno del nostro corpo, possono provocare alle cellule e alla salute del nostro organismo.
Per questi motivi, l’Agenzia europea per le sostanze chimiche (ECHA) ha proposto nuove restrizioni all’uso di microplastiche, con l’obiettivo di ridurne le emissioni di circa 400.000 tonnellate in 20 anni.
Per approfondire il tema scarica il documento del JRC.