Energia e ambiente

Come è difficile trattenere gli investimenti esteri

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Dati recenti indicano una distanza dell’Italia dagli altri Paesi europei nella capacità di attrarre investimenti esteri, che hanno raggiunto nel nostro Paese quota 13 miliardi di dollari contro gli oltre 50 in Gran Bretagna, i 46 in Germania, i 35 in Francia e i 25 in Spagna. Una situazione che ci pone come fanalino di coda in Europa. Questo nonostante siamo la seconda manifattura d’Europa e siamo un Paese in cui l’interscambio con i partner internazionali è cresciuto in maniera considerevole in questi ultimi dieci anni. Quello che non riusciamo a fare, salvo rare eccezioni, è attrarre investimenti diretti.

E spesso quei pochi investimenti che potrebbero arrivare, dopo qualche anno fuggono fagocitati da una burocrazia e da una complessità di carte e documenti che è unica tra i Paesi occidentali. Un esempio: in Sicilia per avere il permesso per realizzare un’opera infrastrutturale occorrono i pareri di oltre 30 Enti diversi e, in una situazione di questo genere, i tempi previsti per Legge si dilatano in maniera non prevedibile. E proprio le tempistiche sono uno degli elementi determinanti che fanno “fuggire” investitori esteri abituati ad attenersi alle Leggi dello Stato in cui operano. Così per avere l’autorizzazione a perforare un pozzo per l’estrazione di idrocarburi sono stati necessari oltre “sette” anni. Ma quale investitore – industriale o fondo di investimento – è capace di aspettare tutto questo tempo?

Altri esempi: la burocrazia sta bloccando quasi un miliardo di investimenti nel solare termodinamico. Investimenti già pronti derivanti da capitali italiani ed esteri. E per di più in una tecnologia nata e sviluppata per la maggior parte in Italia dall’Enea. Conferenze di servizi che sono state convocate con mesi, se non anni di ritardo, termini di legge ampiamente scaduti, arbitrarie prese di posizione di sovrintendenze, ricorsi basati sul nulla, silenzi assordanti di commissioni che dovrebbero decidere stanno rischiando di far fuggire investimenti dal Paese semplicemente per inadempienze amministrative. Progetti in Sardegna o Basilicata. Autorizzazioni regionali o nazionali. Sempre la stessa cosa. All’industria – e agli investitori – servono tempi certi, anche per dei dinieghi, ma tempi certi per avere le risposte!

Oltre alla burocrazia esistono altri punti deboli che impediscono l’afflusso di capitali dall’estero sono sicuramente una pressione fiscale molto alta e i ritardi nella giustizia. Senza contare, se parliamo di investimenti in nuove infrastrutture – energetiche, ambientali o di trasporto – un fenomeno sicuramente non solo italiano, ma che nel nostro Paese si è amplificato in maniera anomala: l’opposizione a livello territoriale delle popolazioni (o parte di esse) che bloccano o ritardano la realizzazione delle opere. Anche a causa di questo tipo di opposizioni abbiamo assistito negli ultimi anni a fughe di capitali stranieri (o di intere aziende) dall’Italia. Tra le più “rumorose”: l’abbandono del progetto del rigassificatore di Brindisi da parte di British Gas.